Haiku 20 novembre 22 dicembre 2017 | Spazio l'Originale Milano

«In ammiccante moto di palpebra».
Gli haiku di Laura Panno

Il titolo di questa mostra di Laura Panno Haiku rimanda a un antico stile poetico giapponese in cui ogni componimento è fatto di sole diciassette more. Alcuni grandi poeti hanno coltivato lo haiku fino a trasformarlo in un raffinato esercizio della parola e del pensiero, mediante cui l’uomo con poche sillabe ci dona una miniatura del cosmo. In questa immagine, il poeta si concentra su una vicenda particolare della vita, ne coglie i nessi che la percorrono, per un istante si pone a distanza prendendo la parola e dopo poche sillabe la poesia rifluisce nella vita. Andrea Zanzotto scrive che «gli haiku hanno quasi l’aria di “scusarsi” d’esserci, se l’esserci comporti una seduzione troppo viscosa per darsi come leganza, un giro logico che voglia catturare, vincolare, piuttosto che aprirsi appena in sollecitante enunciato, in ammiccante moto di palpebra». La forza dello haiku sta nella disinvoltura con cui la parola esce dal silenzio e nel silenzio rapidamente ritorna. Nella disinvoltura dello haiku risiede la grazia del potere della parola in cui si riflette la peculiare forma di serenità con cui il singolo può esprimere in parole o immagini il proprio prendere parte all’esistenza delle cose.
Disinvoltura, grazia, serenità «in ammiccante moto di palpebra» è ciò che riconosciamo nella raccolta di acqueforti e xilografie intitolata Haiku: nelle immagini sembra che affiorino dalla materia informe petali, labbra, polline, bocche, pistilli, occhi, foglie, lingue. All’inizio una forma spicca su uno sfondo che pare confuso, poi quando il nostro sguardo si è acclimatato, cominciamo a vedere che la forma non è sola, ma ci accompagna a un’altra forma ancora e ancora. Dalla bocca che attirava l’occhio germoglia un fiore, anzi ora sembra che l’occhio sia quasi una inflorescenza vegetale. Una forma impercettibile apre uno spiraglio su una selva di rinvii inattesi, ci abbandona a una combinatoria sfuggente di tremiti vegetali e di delicati particolari corporei.
Nella tradizione degli haiku il componimento per lo più si libera da una semplice immagine naturale su cui per caso si è fermato l’anima del poeta, un raggio di luna, una foglia imperlata, la leggerezza della neve che appena inclina gli steli, il suono di una rana che incontra la superficie dell’acqua, per trasfigurarsi in un altro frammento inaspettato per il poeta stesso. Queste intempestive relazioni ora hanno preso forme carnali, sentiamo come solide corde, come gli inscindibili legami quelle che ci parevano solo allucinazioni. «Luna veloce: / le cime degli alberi / sono impregnate di pioggia». Oppure: «È sera ormai. / Tra i fiori si spengono / rintocchi di campana». E ancora: «Il mare si oscura. / Il grido delle oche selvatiche / qualcosa di bianco». E: «Silenzio. / Graffia la pietra / un canto di cicale».
In questi versi di uno dei grandi maestri dello haiku Matsuo Basho, la prima immagine sembra stagliarsi nitida in una ingiustificabile solitudine, per poi svelarsi quale freccia che punta su altri particolari naturali ma istituendo un’impercepibile legge dentro questo piccolo inatteso movimento. Così in questa antologia di incisioni forme, sensazioni, colori d’un tratto articolano tra di loro un nesso delicato e stringente. Poi lo haiku è subito finito, si è richiuso in se stesso. Così nelle incisioni di Laura Panno.
Maurizio Guerri